Fino al 1992 era in vigore una legge che si preoccupava di rivalutare il valore lordo delle pensioni, appunto la legge 730 del 1983.
Questa legge rivalutava le pensioni per la percentuale media di aumenti salariali nei 12 mesi precedenti.
Quindi c’era un “gancio” tra i salari e le pensioni, “gancio” costituito anche perché,mentre i salariati avevano il vantaggio della trattativa contrattuale per contenere l’aumento del costo della vita, i pensionati ne erano sprovvisti; da qui nasce il “gancio”.
In virtù dell’emergenza dei conti pubblici e dell’allungarsi dell’età pensionabile, i Governi sono corsi ai ripari ricorrendo ad una serie di interventi; primo fra tutti è stato il Dlgs 503/92 che ha abolito (art. 11) il meccanismo della rivalutazione delle pensioni “indicizzato” ai salari.
Lo stesso Dlgs si preoccupò di riformare la rivalutazione delle pensioni, creando un nuovo “gancio”.
Il nuovo “gancio” era legare la pensione all’andamento ISTAT (naturalmente non il 100% , ma il 75% medio).
E’del tutto evidente che, con questo attuale meccanismo di calcolo, i pensionati si vedono progressivamente ridursi il proprio reddito rispetto a quello di quando lavoravano; e lo stato non ha mai fatto nulla per porre rimedio a questa disparità giustificandosi con il costo finanziario per il bilancio dello Stato.
Da qui, un paragone tra i due “ganci”, evidenzia che la differenza tra i due è,calcolata tra il 1993 e il 2006, del 29.74%; significa che un pensionato che nel 1992 percepiva 1.100.000 lire nette al mese (pari a 568,10 euro netti mese), con il nuovo “gancio” si ritrova nel 2006 a percepire una pensione netta di 640,28 euro mese, mentre se ricalcolando con il precedente sistema, oggi avrebbe una pensione netta mensile di 809,26; creando un minor introito mensile di ben 168,98 euro.
Ora, la Corte dei conti, sezione Puglia,con sentenza n° 70 del 2005 e, in controtendenza rispetto ai precedenti degli stessi giudici e alle indicazioni della Corte costituzionale, ha accolto il ricorso di un dipendente pubblico a riposo condannando l’Ipdap a riliquidargli la pensione agganciata alla dinamica salariale intervenuta nel frattempo al personale di pari grado in servizio.
Noi sappiamo che una sentenza della Corte dei Conti non fa dottrina ma, io penso che una petizione volta a far riconoscere questa sentenza a TUTTI I PENSIONATI, debba essere fatta, poiché giustizia vuole che non ci può essere disparità di trattamento tra soggetti uguali………
Ci si potrebbe accontentare anche del solo e semplice ricalcalo con la vecchia legge, lasciano nelle mani dello Stato gli arretrati, tanto per dimostrare che anche i pensionati, seppur costantemente maltrattati, capiscono la difficoltà di reperire i fondi per far fronte a questa perequazione.
Questa legge rivalutava le pensioni per la percentuale media di aumenti salariali nei 12 mesi precedenti.
Quindi c’era un “gancio” tra i salari e le pensioni, “gancio” costituito anche perché,mentre i salariati avevano il vantaggio della trattativa contrattuale per contenere l’aumento del costo della vita, i pensionati ne erano sprovvisti; da qui nasce il “gancio”.
In virtù dell’emergenza dei conti pubblici e dell’allungarsi dell’età pensionabile, i Governi sono corsi ai ripari ricorrendo ad una serie di interventi; primo fra tutti è stato il Dlgs 503/92 che ha abolito (art. 11) il meccanismo della rivalutazione delle pensioni “indicizzato” ai salari.
Lo stesso Dlgs si preoccupò di riformare la rivalutazione delle pensioni, creando un nuovo “gancio”.
Il nuovo “gancio” era legare la pensione all’andamento ISTAT (naturalmente non il 100% , ma il 75% medio).
E’del tutto evidente che, con questo attuale meccanismo di calcolo, i pensionati si vedono progressivamente ridursi il proprio reddito rispetto a quello di quando lavoravano; e lo stato non ha mai fatto nulla per porre rimedio a questa disparità giustificandosi con il costo finanziario per il bilancio dello Stato.
Da qui, un paragone tra i due “ganci”, evidenzia che la differenza tra i due è,calcolata tra il 1993 e il 2006, del 29.74%; significa che un pensionato che nel 1992 percepiva 1.100.000 lire nette al mese (pari a 568,10 euro netti mese), con il nuovo “gancio” si ritrova nel 2006 a percepire una pensione netta di 640,28 euro mese, mentre se ricalcolando con il precedente sistema, oggi avrebbe una pensione netta mensile di 809,26; creando un minor introito mensile di ben 168,98 euro.
Ora, la Corte dei conti, sezione Puglia,con sentenza n° 70 del 2005 e, in controtendenza rispetto ai precedenti degli stessi giudici e alle indicazioni della Corte costituzionale, ha accolto il ricorso di un dipendente pubblico a riposo condannando l’Ipdap a riliquidargli la pensione agganciata alla dinamica salariale intervenuta nel frattempo al personale di pari grado in servizio.
Noi sappiamo che una sentenza della Corte dei Conti non fa dottrina ma, io penso che una petizione volta a far riconoscere questa sentenza a TUTTI I PENSIONATI, debba essere fatta, poiché giustizia vuole che non ci può essere disparità di trattamento tra soggetti uguali………
Ci si potrebbe accontentare anche del solo e semplice ricalcalo con la vecchia legge, lasciano nelle mani dello Stato gli arretrati, tanto per dimostrare che anche i pensionati, seppur costantemente maltrattati, capiscono la difficoltà di reperire i fondi per far fronte a questa perequazione.
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